Rapporto IFSN su Fukushima IV: Effetti radiologici

Nove mesi dopo l’avaria alla centrale nucleare di Fukushima il Giappone sta lavorando per contenere l’esposizione alle radiazioni nella regione dell’incidente. Il nuovo rapporto dell’IFSN sugli effetti radiologici dell’incidente dell’11 marzo 2011 mostra quali siano le sfide che il Paese si trova ad affrontare. I necessari insegnamenti relativi alla radioprotezione in Svizzera, l’IFSN li aveva tratti già alla fine di ottobre.

Contaminazione del terreno con cesio dopo l’incidente di Fukushima Lo tsunami dell’11 marzo 2011 ha arrecato all’impianto nucleare di Fukushima Dai-ichi gravi danni, in seguito ai quali dai blocchi 1-3 sono fuoriuscite nell’ambiente significative quantità di prodotti di fissione.

Le autorità giapponesi hanno evacuato una vasta area intorno alle zone interessate, riuscendo così a limitare l’esposizione alle radiazioni della popolazione,  come documenta il nuovo rapporto dell’Ispettorato federale della sicurezza nucleare (IFSN) sugli effetti radiologici dell’incidente nella centrale nucleare di Fukushima Dai-ichi (in tedesco).

L’incidente ha fatto sì che gli esseri umani e l’ambiente fossero esposti alle radiazioni anche oltre la zona di evacuazione. Le radiazioni sono tuttora presenti e la loro eliminazione pone le autorità giapponesi di fronte a un compito fino a ora irrisolto. Il rapporto è stato stilato da un team interdisciplinare di esperti dell’IFSN (il “team di analisi Giappone”) e si basa su fonti sia giapponesi che internazionali. Il rapporto integra le due analisi della dinamica dell’incidente che l’IFSN ha presentato già alla fine di agosto.

E’ in corso una verifica della radioprotezione svizzera

L’IFSN ha già provveduto a trarre dalle risultanze del rapporto degli insegnamenti validi per la Svizzera. Tali insegnamenti sono contenuti nel rapporto “Lessons Learned e punti da verificare sulla base degli incidenti nucleari di Fukushima” dell’ottobre 2011.

Nel rapporto, l’IFSN ha anche annunciato di voler verificare l’affidabilità in caso di incidente grave della dosimetria personale e della radioprotezione operazionale in Svizzera. In questo campo a Fukushima si sono verificate evidenti omissioni, soprattutto nelle prime ore e nei primi giorni successivi all’incidente. La dinamica dell’incidente permette di concludere che in questo campo è necessario tenere più riserve rispetto a quanto supposto fino ad ora.

Le esperienze fatte a Fukushima mostrano inoltre che, anche in caso di incidente grave, esistono comunque numerose possibilità per ridurre in modo efficiente le dosi ed evitare incorporazioni, a condizione che i mezzi di protezione vengano impiegati in modo sistematico. Ciò conferma l’importanza fondamentale delle misure preventive nel campo della radioprotezione per la protezione della popolazione a livello mondiale e in Svizzera.

Radioattività elevata anche al di fuori della zona di evacuazione

L’incidente di Fukushima si è svolto in diverse fasi con un differente potenziale di pericolo per la popolazione. Nella prima fase acuta si è verificata primariamente una fuoriuscita di gas nobili. In questa fase, le dosi provenienti dalla radioattività da nube sono rimaste su livelli limitati per la popolazione, perché il vento inizialmente ha spinto le sostanze radioattive prevalentemente dalla terraferma verso il mare e perché la popolazione residente nei dintorni della centrale nucleare il 12 marzo 2011 era stata tempestivamente evacuata dalla zona in un raggio di 20 km.

Nella seconda fase dell’incidente, a partire dal 15 marzo 2011, grossi quantitativi di radioiodio e cesio radioattivo sono fuoriusciti dal blocco 2, disperdendosi nell’ambiente. Dato che in quella giornata i venti soffiavano prevalentemente da sud-est e c’erano forti precipitazioni piovose, la zona a nord-ovest della centrale è stata fortemente contaminata dai depositi di sostanze radioattive fino a una distanza di circa 50 km. Ciò ha causato nella zona in questione delle intensità di dose ambientale in parte notevolmente aumentate in seguito alle radiazioni dirette, ma anche la contaminazione degli alimenti prodotti in queste regioni.

In una zona di ca. 600 chilometri quadrati al di fuori della zona di evacuazione, le intensità di dose ambientale sono ancora oggi (novembre 2011) notevolmente superiori alla norma. Se, dopo l’incidente, una persona sostasse qui all’aperto costantemente per dodici mesi, sarebbe soggetta a un’esposizione esterna estrema di 20 mSv, un valore che corrisponde al limite previsto in Svizzera per le persone esposte professionalmente. Per le persone non esposte professionalmente vige invece un valore limite di 1 mSv all’anno.

Solo di secondaria importanza per la popolazione giapponese è la dose aggiuntiva che si assume attraverso il consumo di generi alimentari. In questo campo le autorità sono intervenute preventivamente con misure di controllo efficaci.

Le radiazioni ostacolano i lavori di rimozione delle macerie

A causa delle perdite in un canale di collegamento, all’inizio di aprile 2011 è avvenuta una significativa emissione di radioattività in mare. La quantità può essere stimata solo in modo approssimativo, dato che non sono noti con esattezza né la durata della fuoriuscita né l’entità delle perdite.

Inoltre è stato anche necessario immettere volutamente in mare acqua contaminata da radioattività per ridurre le conseguenze dell’incidente nella centrale. La concentrazione di attività nell’acqua marina nei pressi della centrale in avaria si è poi nuovamente normalizzata entro la fine di aprile 2011. Nonostante ciò, ancora oggi in Giappone capita che in alcuni campioni di pescato il valore limite per il Cs-137 venga superato.

L’incidente ha causato intensità di dose ambientale superiori alla norma anche nell’area della centrale stessa. In alcuni punti sono stati raggiunti valori di diversi Sv/h. Non ci sono stati morti in seguito a radiazione o persone con una sindrome da radiazione. In sei persone è stato superato il valore limite di dose maggiorato in seguito all’incidente di 250 mSv.  I valori superiori alla norma costituiscono ancora oggi un enorme ostacolo al superamento dell’incidente. La rimozione delle macerie, ad esempio, in alcuni luoghi può tuttora avvenire solo avvalendosi di macchinari telecomandati.

Secondo l’attuale piano di risanamento della società che gestisce la centrale, perché sia possibile arginare completamente le emissioni ed effettuare la decontaminazione dell’area dell’impianto saranno necessari ancora circa tre anni.

Le conseguenze dell’incidente di Chernobyl sono state più gravi

In un capitolo il rapporto dell’IFSN pone a confronto gli incidenti di Chernobyl (1986) e di Fukushima (2011). Confrontando le conseguenze ecologiche e radiologiche dei due incidenti a reattori nucleari, dal punto di vista odierno si può dire che quello di Chernobyl è stato chiaramente più grave. In seguito all’esplosione e all’incendio all’interno del reattore di Chernobyl è stato emesso nell’atmosfera un quantitativo di sostanze radioattive da 5 a 10 volte superiore. La nube radioattiva ha inoltre raggiunto distanze ben maggiori rispetto a Fukushima, dove gran parte delle emissioni si è allontanata dalle zone abitate in direzione dell’Oceano Pacifico.

Attualmente è ancora difficile effettuare un raffronto delle conseguenze a lungo termine dei due incidenti, perché per quel che concerne Fukushima non sono ancora disponibili tutte le informazioni rilevanti. Sulla base dei dati ad oggi disponibili, le dosi di radiazioni effettive per la popolazione locale e mondiale causate da Fukushima saranno notevolmente inferiori rispetto a Chernobyl.

Il rapporto valuta anche gli effetti radiologici dell’incidente di Fukushima sulla Svizzera. Se da un lato è vero che, con procedimenti altamente sensibili, è stato possibile dimostrare la presenza di tracce di radioattività liberata nel nostro Paese,  dall’altro lato le dosi assunte attraverso radiazione diretta e inalazione sono state di entità trascurabile. La radioattività di Fukushima assunta attraverso l’alimentazione sarebbe ammontata a soli 0.5 µSv anche consumando ben 25 kg della verdura più contaminata. Si tratta di un valore che corrisponde a un decimillesimo dell’esposizione annuale delle persone che vivono in Svizzera (pari a ca. 5 mSv). Non vi è quindi stato in nessun momento un pericolo per la salute della popolazione residente in Svizzera.

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